Una grande pagina di storia italiana. A firma procidana

di Nicola Silenti

Nei giorni della ribalta per gli ottant’anni del Codice della navigazione, tra i pensieri più originali sul tema, merita una menzione speciale l’opera che Alfonso Mignone-avvocato salernitano specializzato in diritto della navigazione e dei trasporti-  ha voluto dedicare all’intellettuale procidano Michele De Jorio,nato nell’isola il 18 ottobre 1738 da Giovanni Antonio De Jorio e Teresa Assante.

Edito da Passerino e disponibile da qualche giorno in formato cartaceo e e-book, il nuovo libro di Mignone dal titolo “Il progetto di codice marittimo del procidano Michele De Jorio” rilancia all’attenzione generale il grande contributo di Procida nella storia e nella cultura marittima italiana proprio nell’anno di Procida Capitale italiana della Cultura. Una circostanza tutt’altro che fortuita questa dal momento che la cultura marittima italiana e quella di Procida sono legate a stretto filo da secoli di sudore e fatica e da vicende illustri ed esemplari come quella di De Jorio, avvocato e magistrato del foro napoletano e presidente del Sacro Regio Consiglio borbonico, protagonista di un percorso di studio e di ricerca nel segno del diritto marittimo lungo una vita intera. Un uomo che oggi viene ricordato anche per il prestigioso incarico che il sovrano Ferdinando IV di Borbone gli affidò il 20 dicembre del 1779: redigere un Codice di leggi marittime e navali con cui regolamentare la navigazione e il commercio del Regno di Napoli. Un lavoro di riordino e accorpamento di leggi, regolamenti e ordinanze a dir poco poderoso che si concluse due anni più tardi con il completamento di quello che venne chiamato “Codice Fernandeo” e che per un insieme di tragiche fatalità di quel turbinoso fine Settecento rimase incompiuto.

D’inestimabile valore storico, l’opera di De Jorio-che seguiva la “storia del commercio e della navigazione dal principio del mondo sino ai nostri giorni” che il De Jorio aveva dato alle stampe nel 1778- assemblò in un corpo unico teoria, storia e consuetudinidi diritto pubblico e privato dandogli il titolo di Codicis Legum Neapolitanarum. Una sorta di summa del pensiero dell’intellettuale procidano che non si limita alla navigazione ma spazia dall’agricoltura alle manifatture, dalle lettere e le arti sino alla morale e alla finanza andando ad abbracciare tutte le materie d’interesse del Regno.

Stampato a Napoli in 25 esemplari per consentirne l’esame da parte dei Consiglieri di Stato, il testo si articola in una serie di precetti ed esortazioni rivolte a tutti i sudditi del regno passando in rassegna questioni già allora spinose e dibattute come i dazi marittimi, la proprietà e il possesso dei beni ritrovati in mare, i contratti (come le lettere di cambio, la polizze di carico, il deposito nautico e il pegno dell’ipoteca marittima) e la disciplina delle controversie, affidata per lo più alle decisioni arbitrali tratte dai pareri legali dei giuristi napoletani di settore del XVII secolo. E larga fu l’influenza nel lavoro di De Jorio della giurisprudenza napoletana del Seicento, vero faro della materia come testimoniato dalla rassegna delle decisioni dei tribunali centrali e dalle raccolte di controversie discusse davanti ai supremi tribunali del regno.

Altro passaggio di grande interesse del saggio di Alfonso Mignone è l’Appendice dedicata a un altro grande lavoro di De Jorio, il regolamento per la pesca del corallo conosciuto come Codice Corallino, un lavoro incentrato su un’attività all’epoca in pieno fermento e che aveva nella Campania uno dei suoi snodi principali. La Campania, allora come oggi centro nevralgico dell’identità marinara italiana, idendità oggi consacrata dal fregio di Procida Capitale della Cultura per l’anno 2022. Un fregio che è in larga parte il lascito di intere generazioni di uomini di mare e l’eredità di figure come Michele De Jorio, testimone di un’epoca e protagonista di una vicenda legata in maniera indissolubile al mare.


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