Geoeconomia/ L’Africa e il Mediterraneo tornino al centro delle politiche italiane

Nicola Silenti

La chiave del futuro strategico dell’Italia sta tutta nel rapporto con il continente africano. Un rapporto che può definire per gli anni a venire il ruolo del nostro Paese nelle relazioni commerciali con il nostro vicino africano e una parte comunque rilevante del pianeta, un ruolo che si gioca per la gran parte sull’efficienza e sulla capacità funzionale della nostra portualità nei collegamenti marittimi con quella africana.
L’argomento è tornato alla ribalta con forza tra i temi cardine affrontati nell’ultimo G7 a guida italiana, e a ben vedere non si tratta di una questione da poco se si riflette sui dati della movimentazione mondiale delle merci e il ruolo giocato dal Mediterraneo: un mare, il Mare nostrum, pari ad appena l’uno per cento dello specchio d’acqua del pianeta ma attraversato da oltre il 22 per cento della intera movimentazione mondiale delle merci via container.


In un mondo in cui il mare si conferma sempre più la piattaforma privilegiata per il transito delle merci, e lo stesso interesse in materia dei paesi del G7 ne è una ulteriore conferma, un’altra questione legata indirettamente a quella mediterranea ha tenuto banco tra i potenti della Terra e riguarda l’instabilità del Mar Rosso. Una questione dibattuta da esperti ed analisti della materia e rilanciata di recente con la consueta avvedutezza da Ettore Incalza nel suo blog “Le stanze di Ercole”del 27 agosto 202
Una tra le aree cruciali del pianeta, quella del Mar rosso, luogo di transito tra i più trafficati del globo con il via vai delle petroliere mediorientali e dei containers asiatici (e soprattutto cinesi) verso la decadente eppure ricca Europa. Un luogo al centro delle cronache dopo il recente caso della petroliera greca Sounion, attaccata e incendiata dalle milizie Houthi yemenite tra le proteste e l’indignazione di capi di stato e personalità occidentali come l’alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea Josep Borrell, che ha chiesto a paesi membri dell’Unione di aumentare i mezzi a disposizione della missione Aspides a cui partecipa l’Italia.

Una missione nata proprio per difendere con il pattugliamento delle acque il commercio nella regione dagli attacchi delle milizie yemenite. Nelle ultime settimane infatti in tutta l’area gli Houthi hanno intensificato gli attacchi, producendo come effetto un ulteriore calo delle navi che ancora attraversano il Canale di Suez: da qui l’urgenza ribadita da Borrell di incrementare le forze nel pattugliamento delle acque e nel contrasto alle azioni Houthi.
Una situazione di pericolosa instabilità per l’approvvigionamento delle merci in Europa che ha rilanciato lo studio di percorsi alternativi e più sicuri al Mar rosso come quello lanciato tra il duemila e il 2010 dall’Italia con la redazione del Piano Generale dei Trasporti iracheno e con la proposta di un consorzio di imprese italiane per la realizzazione di un asse stradale diretto dal porto iracheno di Bassora via Bagdad e Mosul per raggiungere la Turchia e da qui i porti del Mar Nero e le infrastrutture del cosiddetto Corridoio 10,come ricorda Ettore Incalza nel suo sopracitato blog.

Ormai è evidente a tutti che il terrorismo yemenita rappresenti molto più di una minaccia per il commercio mondiale, rendendo di fatto l’accesso al Canale di Suez un rischio incalcolabile a priori per le merci e un pericolo per equipaggi e navi. Per rispondere a questa emergenza il governo della Georgia ha deciso di costruire un imponente scalo marittimo ad Anaklia, sulle coste del Mar Nero, per fare pressione sugli stati europei nella scelta del transito per il Mar Nero per commerciare con la Cina, proiettando così il piccolo stato caucasico alla sfera di influenza economica dell’Europa occidentale. La Turchia invece procede a tappe forzate nella realizzazione di un canale lungo 45 chilometri che correrà in parallelo al Bosforo collegando il mar Nero e il Mediterraneo. In entrambi i casi, quello caucasico e quello anatolico, l’effetto a breve termine è quello di unire i destini e gli interessi dei paesi europei con i paesi mediterranei dell’Africa, coinvolti con i loro porti in questa dinamica di sviluppo, che propone per tutti i soggetti coinvolti interessanti prospettive di sviluppo e crescita.
Il futuro dell’Europa e dell’Italia passa qui, lungo la linea che mette in comunicazione il continente africano, il mar Nero e l’Anatolia. Una linea che, comunque la si immagini, dovrà vedere l’Italia recitare la parte della protagonista.

fonte https://www.destra.it/home/geoeconomia-lafrica-e-il-mediterraneo-tornino-al-centro-delle-politiche-italiane/

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