Nicola Silenti
Il cluster marittimo italiano festeggia i suoi numeri d’eccellenza con il XII Rapporto nazionale sull’economia del mare, l’indagine annuale che fornisce il quadro più realistico e puntuale della dimensione economica del settore mare. Un lavoro realizzato dall’Osservatorio Nazionale sull’economia del mare italiano con il contributo del Centro studi Tagliacarne, di Unioncamere il contributo dell’Azienda Speciale Informare della Camera di commercio Frosinone Latinae Blue Forum Italia.
Il Rapporto mostra anche quest’anno un settore, quello marittimo, in crescita sotto tutti gli aspetti e da tutti i punti di vista con oltre 227 mila imprese coinvolte e più di un milione e 40 mila occupati, per un valore economico complessivo generato pari a 178,3 miliardi di euro pari al 10,2 per cento del PIL nazionale.Numeri poderosi illustrati in dettaglio nel quadro di riferimento riportato nel Rapporto, offrendo così agli addetti ai lavori un prezioso strumento di analisi e di programmazione delle attività legate alla risorsa mare con un lavoro di sintesi a disposizione di tutti i soggetti, pubblici e privati, interessati ai settori della filiera ittica e della cantieristica navale, dell’industria delle estrazioni marine, della movimentazione di merci e passeggeri, dei servizi di alloggio e ristorazione, della ricerca, regolamentazione e tutela ambientale e infine delle attività sportive e ricreative.
Un Rapporto che offre al paese l’ennesima conferma puntuale e dettagliata della reale portata dell’economia marittima come affermato in modo quanto mai efficace dal presidente di Assonautica Italiana Giovanni Acampora e «che contribuisce a dare la giusta importanza alla Blue Economy italiana in linea con il lavoro che stiamo portando avanti con il Piano del mare».
Di certo l’analisi delle pagine salienti del Rapporto consente di registrare ormai come un dato acquisito lo stato di buona salute del settore del mare, la sua generale tendenza alla crescita e le sue indiscutibili ricadute trasversali, individuando altresì con nettezza quanto sia importante supportare la blue economy tricolore con investimenti più consistenti nella logistica e nei porti, oggi più che mai nodi strategici del sistema infrastrutturale italiano. Un sistema, quello della logistica e dei porti, che fonda la sua rilevanza cruciale sulla posizione geografica della penisola che la proietta verso i nuovi mercati orientali e africani nel solco di un trend globale destinato a rafforzarsi per l’ormai certo spostamento del baricentro dell’economia mondiale proprio verso questi mercati.
Quanto al sopra richiamato Piano del Mare,lo strumento di programmazione che vincola governo e parlamento a una politica marittima unitaria e strategica, è da segnalare la prossima riunione del CIPOM che prenderà in esame la riforma dei porti, uno dei temi al centro delle proposte avanzate da numerose associazioni di categoria del cluster marittimo italiano.In effetti la governance del sistema portuale italiano resta un tema di attualità nonostante i ripetuti interventi legislativi a seguito della legge 84 del 1994(di disciplina dell’ordinamento e delle attività portuali) e apre la porta a qualche ulteriore riflessione sulla materia. Affrontare il tema della governance dei porti italiani infatti sarà possibile soltanto dopo aver inquadrato con chiarezza “cosa devono fare i porti”, in un Mediterraneo divenuto negli ultimi anni sempre più protagonista specie nello Short Sea, ossia il traffico marittimo a corto raggio,ma purtroppo in continua fibrillazione a causa delle tensioni tuttora in atto che riducono i transiti giornalieri nel Canale di Suez.
Di certo quanto esposto nel Rapporto conferma in pieno come quella del mare sia una voce vitale per l’economia italiana ed è la riprova di un comparto essenziale per la società italiana,erede di una tradizione legata a doppio filo all’anima della nazione. Una nazione votata alla sua identità di piattaforma del mare e sempre più destinata a recitare un ruolo da protagonista nel Mediterraneo.
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