Dopo il romanzo Quirinale, chi vince e chi perde alla lotteria della politica

Nicola Silenti

A dispetto dei commenti dei protagonisti e delle riflessioni dei politologi, il post elezione del presidente della Repubblica lascia sul campo della politica italiana nessun vincitore ma solo una scia di sconfitti a destra,al centro e a sinistra. Il centrodestra che pure aveva i numeri per condurre le danze si è ritrovato quasi subito a battere in ritirata per salvare quel che restava della faccia sul nome di Mattarella, tra l’altro indicato sette anni prima dal centrosinistra.

La confusa area di centro, mitico eldorado dei troppi redivivi, tornati per qualche ora al centro di una scena non abbastanza grande da contenere le ambizioni di gente come Renzi, Calenda e Casini vari. Infine il centrosinistra, avvolto tra l’inarrestabile agonia dei Cinque stelle e la faccia inespressiva di Enrico Letta, pronto a sostenere tutto e il contrario di tutto pur di giustificare la permanenza al potere dei soliti noti.

Il centrodestra non muore ma esce dalla contesa in frantumi, e le grandi manovre in parlamento degli ultimi giorni per il ritorno al sistema elettorale proporzionale lasciano intravedere la fine di un’esperienza nata nel ’94, quando il Paese si orientava al maggioritario e la moda del tempo imponeva agli italiani di scegliere tra due opposti poli. Archiviata quella stagione, a destra il nuovo corso sembra ormai dettato da Giorgia Meloni, il solo leader della coalizione in grado di vantare un patrimonio di coerenza tale da porla ben più di una spanna sopra un troppo confuso  Matteo Salvini incapace di condurre davvero da protagonista la partita del Quirinale e oggi nemmeno in grado di tenere con sicurezza le redini di quella Lega che Bossi, tanto per dirne uno,faceva e disfaceva a suo piacimento ma che oggi vaga  nell’agone politico senza meta come un canotto nell’oceano in burrasca  in preda agli eventi. Quanto a Forza Italia nessuno oggi dubita della sua irrilevanza con le sue truppe, sfilacciate in un rivolo di ambizioni e brame spesso confliggenti e comunque inconciliabili tra loro.

Di sicuro a mancare è una vera strategia, una linea politica degna di questo nome e soprattutto una leadership forte, condivisa e capace, in grado di imporsi per prestigio e autorevolezza e rompere il fronte Draghi-Mattarella e riportare il tema della sovranità e del riscatto nazionale al centro della scena politica, ritagliandosi uno spazio di agibilità politica che deve saper valicare il pur ampio recinto in cui oggi è confinato Fratelli d’Italia e la loro leader Giorgia Meloni. Perché si ritiene che vada bene la coerenza, la schiena dritta e la credibilità, ma è impossibile governare un Paese complesso come l’Italia da soli, senza allearsi a nessuno e senza stringere patti o scendere a compromessi, anche i più difficili. Governare l’Italia richiede il contributo fattivo di una classe dirigente che ancora manca alla destra, oggi orfana di relazioni, di rapporti, di individualità che sappiano disegnare scenari e immaginare orizzonti futuri e indicarli a questa Italia malata di poca immaginazione e nessuna fantasia.



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