IL CRUCIALE NODO DEL TRAFFICO MARITTIMO: IMPLICAZIONI ECONOMICHE E GEOPOLITICHE

Pietro Serbassi

Il traffico marittimo globale è una rete intricata di rotte e nodi vitali che sostengono l’economia mondiale, rappresentando la modalità con cui avviene il 90% degli scambi internazionali a livello globale ed il 75% degli scambi tra Unione Europea ed i partner internazionali. E’ tuttavia un dato di fatto che ci si accorga della rilevanza di tale segmento, e della logistica più in generale, soltanto nei momenti di shock o di crisi, in cui vengono messi in luce le fragilità strutturali del sistema e gli impatti dello stesso sull’intera economia globale.

La recente crisi di Suez, determinata dagli attacchi dei ribelli Houthi yemeniti alle navi cargo in transito a partire dalla seconda metà di ottobre 2023, è stato solo l’ultimo degli eventi che ha messo sotto i riflettori tale condizione.

Secondo le stime più recenti, dal chokepoint di Suez e dallo stretto di Bab el-Mandeb transitano il 12% degli scambi internazionali globali, il 27% dei traffici container mondiali nonché tra il 7% e il 10% del greggio e l’8% del GNL scambiati globalmente. Focalizzandoci sul contesto italiano, via mare viaggia il 61% dell’import-export italiano in volume e il 36,1% in valore, con circa il 40% di tali scambi che transita da/per il Canale di Suez lungo le trade lanes che uniscono il nostro paese con il Far East, i paesi del Golfo Persico, l’India. Stiamo parlando, in termini monetari, di circa 83 miliardi di euro di interscambio marittimo nazionale che è passato lungo Suez nel corso del 2022.

Già a partire da tali dati, è evidente che la crisi innescatasi dagli attacchi Houthi non può che generare effetti dirompenti sulla catena logistica e sull’economia nazionale ed europea.

Gli attacchi Houthi hanno fatto sì che molti armatori optassero per percorsi alternativi più sicuri, in particolare per il Capo di Buona Speranza, al fine di raggiungere i mercati europei. I mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024 rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente, hanno registrato infatti, secondo l’UNCTAD, un calo di circa il 42% dei transiti di naviglio lungo il Canale di Suez, con un’incidenza significativa per il segmento container e le rinfuse solide e leggermente più contenuta per le tanker ( navi cisterne) e il trasporto di GNL (gas naturale liquido).

Questo ha comportato un aumento dei transit time dei trasporti via mare, con un aggravio di circa due settimane determinato dalla circumnavigazione dell’Africa rispetto al transito per il Mar Rosso; la ridefinizione delle destinazioni finali di approdo delle rotte Far East-Europa, a favore dei porti del Northern Range europei rispetto a quelli mediterranei; e soprattutto un enorme aumento dei costi delle polizze navali e dei noli marittimi, che ad esempio sul segmento container nella tratta Shanghai-Genova, sono raddoppiati a febbraio 2024 rispetto all’anno precedente.

Andamento febbraio 2023-2024 World container Index Drewry (nolo in dollari per container 40 piedi) su rotte specifiche

Tali shock si ripercuotono, di riflesso, sull’economia reale nazionale: i porti nazionali maggiormente vocati ai traffici internazionali hanno cominciato a registrare cali del 20% nelle movimentazioni degli ultimi mesi; Confartigianato stima un calo del volume del commercio estero italiano di circa 8,8 miliardi di euro dal novembre 2023 legato sia a ritardi nelle esportazioni che alla mancata fornitura di manufatti, prodotti intermedi e materie prime; i nuovi transit time stanno generando preoccupazione per le esportazioni di prodotti alimentari deperibili e nelle consegne dell’industria della moda, nonché primi segnali di ritardo negli approvvigionamenti di magazzino e nella distribuzione per le altre filiere industriali; da ultimo, gli aumenti dei costi del trasporto marittimo verosimilmente verranno ribaltati sui prezzi dei beni al dettaglio con conseguenze sul livello generali dei prezzi al consumo e sulle decisioni delle Banche centrali di riduzione dei tassi di interesse.

Eppure, l’attuale crisi nel Mar Rosso è solo l’ultimo evento di natura esogena (geopolitico, sanitario, incidente, etc..) che ha avuto impatti sulla catena logistica globale e sul trasporto marittimo in particolare. Nel 2021, nello stesso ambito geografico, si era assistito all’incaglio della nave portacontainer Ever Given, che bloccò il Canale per 6 giorni, generando secondo l’agenzia Bloomberg perdite per 9,6 miliardi di dollari al giorno, mentre secondo Allianz le perdite complessive ammontarono ad un importo compreso tra i 6 e i 10 miliardi dollari. L’anno precedente, l’anno della pandemia da Covid-19, ci testimoniò la magnitudine che il rallentamento dell’operatività o la chiusura di un porto in Cina e i fenomeni di blank sailings delle navi, hanno sulle scorte industriali di magazzino, sui tempi di consegna dei beni e sui prezzi finali dei prodotti.

E’ un pò come se ci accorgessimo della rilevanza della logistica, sia in termini di sicurezza degli approvvigionamenti e degli scambi che in termini di anello fondamentale della produzione e della trasformazione produttiva, soltanto in occasione di crisi e shock specifici, con i riflettori sul settore che vengono a scemare nel momento in cui l’evento scatenante la crisi viene meno.

Facendo tesoro dell’attuale crisi nel Mar Rosso, è forse arrivato il momento di cambiare rotta sulla percezione della rilevanza del trasporto marittimo globale e sulle azioni strutturali che è necessario mettere in campo per garantire sicurezza, fluidità e resilienza non solo del sistema dei trasporti e della logistica, ma dell’intero sistema produttivo nazionale a cui il trasporto marittimo è a servizio.

Nel programma “Italia velocemente connessa” di FAST-CONFSAL, a partire dal 2020, ci siamo resi conto della centralità del settore marittimo e più in generale della logistica per la competitività e la sicurezza del sistema economico e produttivo nazionale, proponendo a tal fine due linee di intervento che a nostro parere rappresentano risposte efficaci a shock come quello attualmente in atto nel Canale di Suez.

In primis, da quattro anni evidenziamo la necessità di garantire adeguati livelli di servizio di trasporto merci anche in condizioni emergenziali, attraverso la creazione di un fondo per la resilienza calcolato in percentuale del fondo investimenti annuale. L’idea è quella di progettare e costruire reti, nodi e servizi di trasporto in grado di reagire a shock inattesi (di tipo tecnico, ambientale, informatico o altro), anche attraverso ridondanze del sistema (sia in termini infrastrutturali, di servizio, di percorso e di modalità di trasporto), garantendo continuità nei servizi merci ritenuti strategici e che potrebbero diventare insostenibili durante una fase critica inattesa a prescindere dalla natura dello shock su quelle direttrici e quelle relazioni ritenute essenziali per il paese e che non possono essere oggetto di blocco, sospensione o interruzione. Se, infatti, nel comparto passeggeri vige il principio di servizio universale e molti servizi vengono regolati da contratti con il pubblico, il segmento merci è sostanzialmente liberalizzato con l’eccezione dei servizi di continuità territoriale. Si è proposto quindi di definire un livello minimo di servizi di trasporto essenziali, con strumenti finanziari a garanzia delle imprese che effettuano servizi di trasporto o che gestiscono infrastrutture, realizzando quindi una rete di infrastrutture e servizi di competenza nazionale che garantiscono i collegamenti fra le diverse aree del Paese e con l’estero, anche in presenza, o a seguito, di crisi purtroppo non escludibili nel futuro. Per essere chiari, se si bloccasse Suez, il paese sarebbe in grado in poche ore di attivare servizi cargo aereo o ferroviario con la Cina per trasportare beni e prodotti italiani a prezzi invariati per i caricatori coperti da risorse nazionali.

Corollario necessario a tale prima proposta riguarda la necessità, sotto egida dell’Unione Europea, che esista un’efficace e pronta azione di sorveglianza militare ed eventualmente di azione militare, ove si riscontrino problematiche di attacchi terroristici in localizzazioni strategiche per i flussi cargo globali, funzione ad oggi sostanzialmente demandata agli Stati Uniti, come dimostrato nell’attuale crisi di Suez.

In secondo luogo, l’incertezza derivante da catene logistiche e del valore ampiamente globalizzate e lunghe come quelle attuali, che determina una forte volatilità a variabili non facilmente governabili o preventivabili, secondo FAST-CONFSAL dovrebbe incentivare i policy maker nazionali ad implementare una serie di misure in grado di rinforzare i timidi fenomeni di reshoring-nearshoring industriale, senza tuttavia provocare distorsioni negli incentivi alle aziende,  favorendo l’accorciamento delle catene del valore.

La ristrutturazione delle catene di fornitura, con il tentativo di avvicinare in un paese meno lontano o in patria i fornitori, i fenomeni di reshoring e near-shoring appunto, dovrebbero infatti essere accompagnati dall’incremento delle semplificazioni amministrative e delle risorse di incentivazione di carattere economico su iniziative già intraprese, quale ad esempio la Zona economica speciale nel Sud Italia, al fine di agganciare il prima possibile e prima degli altri paesi tale trend e di garantire maggiore sicurezza quantomeno lato importazioni agli scambi commerciali del nostro paese.

  

  
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