Perchè è tempo di guardare all’Africa con occhi nuovi. Senza ideologismi e paure

Nicola Silenti

A scorrere le pagine del libro” La speranza africana. La terra del futuro concupita, incompresa, sorprendente” del giornalista e saggista Federico Rampini ci si trova immersi in uno stato d’animo in larga parte analogo a quello avvertito davanti alle scorrevoli e chiare riflessioni dell’opera di Marco Valle “Il Futuro dell’Africa è in Africa. I tanti volti di un continente sorprendente. Che l’Italia ha dimenticato della collana Fuori dal coro, edito due anni fa dal quotidiano Il Giornale. In entrambe le opere si osserva infatti che «l’Africa non è solo ed esclusivamente un continente esportatore di disperati, destinati ad alimentare le fila del sottoproletariato europeo» e che «del continente africano sembra che gli italiani conoscano soltanto una narrazione catastrofista».

Le attuali classi dirigenti africane osservano oggi sotto una nuova luce il periodo della decolonizzazione di un continente che per troppo tempo è vissuto nella disperazione, inseguendo un simulacro della democrazia  e pertanto cercano di organizzare un percorso di sviluppo affrancato dalla dipendenza europea e volgendo lo sguardo al futuro, nella consapevolezza che il continente africano viene ormai avvertito con una considerazione del tutto nuova dal resto del mondo e in particolare da una potenza come la Cina, la cui presenza in Africa è ormai una costante nella vita del continente. 

Fra i paesi con un’economia in crescita oggi si registra uno sviluppo vigoroso e rapido da parte di vari Stati africani in uno scenario che appare molto promettente ma purtroppo ancora fragile e come al solito sempre disuguale. Uno scenario di rapporti e relazioni economiche e commerciali che vede oggi protagonisti, insieme alla già citata Cina, players rilevanti come la Russia, la Turchia e lo stato di Israele.

Il fatto è che non esiste una sola Africa, bensì esistono le Afriche. E bene le tratteggia Valle facendo risaltare con forza dalle sue pagine la tragica e dolorosa mancanza di visione di molti paesi del mondo, e in special modo dell’Unione europea, verso il Continente nero. Una considerazione, quella di Valle, condivisa appieno nel suo lavoro da Federico Rampini quando sostiene che «contro gli stereotipi si impone una nuova narrazione» raccomandando al lettore che «bisogna riprendere il diritto di raccontare l’Africa così com’è davvero, senza i soliti luoghi comuni occidentali», indirizzando i contenuti del suo saggio «contro la pigrizia intellettuale e come antidoto contro le lobbies che usano l’Africa per i propri scopi».

Quello africano è un continente immenso e con le sue realtà dinamiche rappresenta una terra di grandi e multiformi opportunità, un carnet di occasioni da cogliere su cui innestare un serio e concreto piano di collaborazioni internazionali: un piano da intraprendere tenendo in considerazione anche il cambiamento demografico in atto nel continente, un dato imprescindibile che può rivelarsi una minaccia oppure una opportunità da cogliere per lo stesso continente, ma anche per il mondo.

Di certo non è possibile comprendere l’Africa con la sola analisi dei singoli stati che all’improvviso si dividono cambiando denominazione per poi ricomparire con insegne differenti. L’unico dato di fatto certo sono le straordinarie risorse naturali di questo continente, risorse che potrebbero costituire da sole una enorme ricchezza per gli Stati africani garantendo benefici universali a tutti i cittadini e non unicamente ai pochi ricchi, e troppo spesso corrotti, che tengono in mano le redini del potere locale. E in effetti il male più grosso dell’Africa è proprio la corruzione, che complica e rallenta le possibili opzioni di sviluppo di questa terra immensa piena di opportunità ed economie crescenti.

E allora come porsi davanti ai cambiamenti dell’Africa? Di sicuro il primo passo da fare spetta agli organismi internazionali cui compete la responsabilità e l’onere di valorizzare le comunità regionali a partire da una seria e credibile integrazione economica finalizzata al raggiungimento di un maggior benessere diffuso e una democrazia finalmente universale. E l’Italia? 

Dopo una lunga epoca di sostanziale disimpegno il governo italiano sembra palesare un rinnovato interesse verso il continente africano colmando un vuoto cui sino a oggi avevano posto rimedio quelli che Marco Valle ha definito «i nostri capitani coraggiosi, imprenditori che nonostante le difficoltà dimostrano con il proprio lavoro come l’Africa possa rappresentare una terra di grandi occasioni»,perseguendo di fatto gli obiettivi annunciati da Giorgia Meloni con il cosiddetto “Piano Mattei”, iniziativa italiana che dovrebbe essere presentata in via ufficiale in occasione della quarta conferenza interministeriale Italia-Africa alla Farnesina all’inizio del prossimo anno. Un’iniziativa che si propone di promuovere un modello di cooperazione «non predatorio» e di consentire all’Italia il recupero di un ruolo strategico nel Mediterraneo.

Un piano che auspicabilmente non si limiti alle pur importanti Libia e Tunisia, perché il pericolo da scongiurare come sottolinea Rampini è la visione di un’Africa che si riduce «ai disperati che attraversano il Mediterraneo», protagonisti di una tragedia che è anche un paradosso dal momento che nello stesso continente africano «si parla della piaga di questo fenomeno migratorio assai meno che da noi». Ma oltre alle ossessioni migratorie il saggio di Rampini ci riporta ad alcune contraddizioni sulla questione africana, incoerenze che l’autore condensa in «un ambientalismo radicale che ci impedisce di vedere quali scelte vanno fatte anche a beneficio dell’Africa, un estremismo umanitario che disincentiva le nostre aziende, penalizzandole nella competizione con la Cina» e nondimeno «un sedicente pacifismo che ci rende poco credibili in un mondo che al contrario chiede sicurezza». Un mondo che oggi scommette con forza sullo scacchiere africano, in una partita strategica in cui l’Italia ha il dovere di giocare le sue carte e recitare un ruolo.

  

  
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