Il Piano nazionale del mare approda in Consiglio dei ministri. Sarà la volta buona?

Nicola Silenti

Un punto di partenza necessario e un grimaldello imprescindibile per le urgenze e la voglia di riscatto del comparto marittimo italiano.Il Piano nazionale del mare è finalmente realtà grazie all’approvazione dello scorso 31 luglio da parte del Cipom, il Comitato interministeriale per le politiche del mare presieduto dal ministro Nello Musumeci. Istituito con il Decreto legge 173 del 2022 contenente “Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri”, il Piano del mare è lo strumento di programmazione affidato a governo e parlamento per la realizzazione strategica di una politica marittima finalmente unitaria.

Uno strumento costruito a fatica punto su punto dopo mesi di audizioni, confronti e un dibattito serrato che ha visto il contributo di ministeri cruciali (Infrastrutture, Ambiente, Turismo, Finanze, Agricoltura, Difesa, Esteri, Cultura, Affari europei e regionali) e di un comitato di esperti del comparto marittimo, un comitato “scelto” di professionisti del settore pubblico e privato soggetto, a scanso di polemiche e sospetti, a un turnover triennale.

Affidato alla discussione in Consiglio dei ministri, il provvedimento si articola lungo 16 direttrici che attraversano i cardini del sistema mare nazionale a partire dal tema degli spazi marittimi e delle rotte commerciali per proseguire con i temi cruciali dei porti, della transizione ecologica dell’industria del mare e dell’energia proseguendo con la pesca, la cantieristica navale e l’industria armatoriale. Tra le tematiche in esame anche le aree marine, il turismo e le isole minori con un’attenzione particolare rivolta ai temi dello sviluppo e delle politiche di coesione dell’area mediterranea, con ampi rimandi al tema della sicurezza, intesa sia come “safety”che come “security”.

A una lettura più attenta balza subito all’occhio il nuovo assetto del trasporto marittimo, inserito dal nuovo Piano in un sistema che dovrà tenere conto della transizione energetica e del suo impatto sul costo della movimentazione delle merci e delle persone, in raccordo con i sistemi di trasporto nazionali e internazionali. Altri punti cruciali del documento sono i porti, visti nella prospettiva della centralità geografica dell’Italia rispetto alle rotte marittime internazionali, e l’energia, considerata e vagliata per le smisurate potenzialità del mare inteso come fonte inesauribile di energia rinnovabile. Un cambio di prospettiva epocale nel segno della mobilità sostenibile che dovrà essere accompagnato da un piano ad hoc di interventi infrastrutturali. Per questo motivo il tema della transizione energetica può essere considerato il tema conduttore alla base del Piano del Mare, con un futuro prossimo di imperativi categorici come l’impiego di carburanti alternativi a quelli fossili e la sostituzione dell’attuale naviglio con uno di nuova generazione, obiettivi entrambi mirati alla protezione e salvaguardia degli ecosistemi marini fino all’istituzione, entro il prossimo anno, di un’Autorità nazionale per il controllo delle attività subacquee.

Ampi passaggi del Piano sono poi dedicati al comparto della cantieristica che registra un indotto pari a nove miliardi di euro e circa 90 mila lavoratori occupati, e all’industria armatoriale, con le sue 1400 navi e i circa 70 mila occupati, a bordo e a terra.

Uno spazio di riguardo è infine dedicato all’annosa questione della salvaguardia del lavoro marittimo, con la necessità di un profondo aggiornamento della regolamentazione del lavoro a bordo e una maggiore attenzione ai percorsi formativi e all’accesso alle professioni marittime, pesca e diporto compresi. La crisi occupazionale e le opportunità di crescita, il collocamento della gente di mare e la formazione del personale sono questioni ampiamente analizzate dal Piano ma le soluzioni prospettate, ogni giorno più urgenti, non appaiono a chi scrive di immediata applicazione.

Ben più auspicabili e urgenti, invece, sarebbero degli interventi mirati sullo snellimento dei percorsi formativi, sul ripristino dei titoli professionali marittimi di cui all’ex articolo 123 del Codice della navigazione e su una maggiore attenzione ai marittimi del diporto, vera spina dorsale di un settore a tutt’oggi carente delle necessarie tutele. Risulta evidente che la questione relativa a quest’ultimo punto in capo alla Gente di mare, meriti uno specifico approfondimento che ci riserviamo di trattare  successivamente su questo giornale telematico. Per concludere si ritiene che l’approvazione del primo Piano del Mare rappresenta un passo importante per mettere l’economia del mare al centro delle politiche di sviluppo nazionali ma, al di là, dei temi trattati, emerge con forza l’esigenza di raccordare detti temi in maniera armoniosa e omnicomprensiva.

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