Quale futuro per la portualità italiana? L’opinione di Mario Sommariva

Nicola Silenti

Rifondare il comparto marittimo a partire dal settore strategico dei porti. A rimettere in cima all’agenda marittima la questione delle Autorità di sistema portuale (AdSP) è intervenuto con brillante tempismo un efficace articolo comparso di recente sul magazine specializzato ShipMag a firma Mario Sommariva, presidente dell’Autorità del Mar Ligure orientale e apprezzato conoscitore dell’universo mare. Un intervento anticipato dal titolo evocativo “Perché dovremmo parlare più del ruolo economico-sociale dei porti e meno di governance” che è apparso da subito come l’appello accorato di una voce tra le più stimate tra gli addetti ai lavori a proposito dei pericoli che si affacciano nell’orizzonte grigio dell’universo marittimo italiano e della sua economia. Una economia piegata da un fronte geopolitico avverso, in bilico tra le difficoltà del traino tedesco e «le tensioni finanziarie divampate con il fallimento della banca SVB, l’istituto delle start up della Sylicon Valley, e dello svizzero Credit Suisse, salvato dall’intervento pubblico svizzero tramite UBS».

Presidente Sommariva, da dove nascono i suoi timori per il presente e il prossimo futuro dei porti italiani?

Nascono anzitutto dall’attuale e sempre più complesso quadro geopolitico ed economico, che ha ridisegnato la “globalizzazione” e la geografia dei traffici via mare. Le nuove barriere doganali e le catene logistiche più brevi ci consegnano un mondo dove il traffico marittimo globale è destinato a crescere a tassi inferiori rispetto ai decenni passati. Inoltre le sanzioni internazionali stanno modificando le rotte storiche imponendo triangolazioni fra paesi diversi e mutando le vie di traffico tradizionali specie per gas e petrolio. Mutamenti epocali che stanno influendo sulle scelte dei grandi vettori marittimi a cominciare dalla fine del “boom” dei noli marittimi che aveva segnato il 2021 e parte del 2022. Un effetto non di poco conto, se si riflette sul fatto che la crescita esponenziale dei noli marittimi aveva provocato un’impennata dei profitti delle compagnie di navigazione incrementando così il fenomeno delle acquisizioni di attività della logistica, dei trasporti stradali e ferroviari, dei terminal portuali e dei servizi di rimorchio dando impulso allo sviluppo del settore dello shipping.

Adesso invece in che direzione sta andando il settore dello shipping?

Adesso i noli sono a livelli di “normalità”, e quindi le Compagnie stanno portando avanti nuove strategie per difendere i propri equilibri commerciali e finanziari togliendo dall’attività circa 300 navi, pari al 6 per cento dell’intera flotta mondiale disponibile, e lo hanno fatto in prevalenza sulle rotte est-ovest.Da considerare inoltre lo scioglimento delle alleanze, in particolare la 2M, annunciata in modo significativo due anni prima della scadenza.

E questo cosa può significare per i porti italiani?

Ovviamente nessuno può avere risposte certe, in particolare in un quadro così complesso che, peraltro, ci ha abituati a mutamenti di scenario improvvisi ed imprevisti. Alcuni osservatori interpretano i fatti con letture rassicuranti sul ruolo dell’Italia e del Mediterraneo mettendo in rilievo il ruolo e le potenzialità dei porti del mezzogiorno, anche connessi ai vantaggi possibili delle Zone Economiche Speciali. D’altronde, che l’Italia nei prossimi anni possa svolgere un ruolo di leadership “regionale” nel quadro degli scambi mediterranei appare possibile oltre che auspicabile.

Questa lettura degli eventi in corso privilegia una visione positiva dei traffici Ro-Ro, sia nel quadrante del Mediterraneo orientale (dominato dalla rotta turca verso Trieste) che sul quadrante occidentale, dove è fitta e ormai consolidata la rete di collegamenti con la Spagna e il Nord Africa, ma anche nelle tratte con le nostre isole maggiori e minori. A questo proposito va intesa come un indicatore di segno certamente positivo l’acquisizione, da parte di Grimaldi Lines, del porto di Igoumenitsa in Grecia, uno snodo fondamentale dei traffici sulla rotta balcanica.

Quindi si delinea uno scenario ottimistico per il nostro Paese?

In realtà per il sistema Italia i timori rimangono, specie se si guarda al traffico dei containers. Oggi il sistema portuale nazionale sembra sempre più segnato da un nuovo assetto influenzato per la gran parte da MSC che detiene circa il 66 per cento delle quote di proprietà dei terminal italiani, sia sul Tirreno che sull’Adriatico. Perni principali di questo nuovo assetto saranno per gli anni a venire le infrastrutture in corso d’opera negli snodi principali dello Stivale a cominciare da Gioia Tauro, che grazie proprio agli investimenti di MSC sarà interessata da un potenziamento dei collegamenti diventando così uno snodo interconnesso con il Nord del Paese. Un sistema interconnesso che si avvia a essere segnato da altri interventi cruciali come quelli relativi alla Diga di Genova e ai riempimenti di Sampierdarena, al completamento di Vado Ligure, al nuovo terminal Ravano a La Spezia e alla Darsena Europa a Livorno, tutti interventi che disegnano la configurazione infrastrutturale dei principali scali del sistema portuale nazionale. Un discorso analogo vale per il quadrante orientale con i moli VII e VIII a Trieste e il nuovo hub di Ravenna. Uno scenario che lascia intravedere grandi possibilità per il sistema nazionale a patto di spostare quote consistenti di traffico verso Sud. Il tema del futuro sarà riuscire a garantire che questo sistema infrastrutturale possa crescere nel suo insieme valorizzando gli investimenti pubblici e privati in corso. Da questo punto di vista l’attenzione andrebbe posta sulla valorizzazione dei porti quali poli della transizione energetica, buon lavoro e una nuova politica industriale. Da qui la necessità impellente di dotare le Autorità di sistema portuale di quegli strumenti di autonomia finanziaria e amministrativa che saranno necessari per sviluppare politiche di integrazione e di sviluppo con il naturale retroterra dei propri flussi di traffico, magari riuscendo anche a sviluppare le possibilità di realtà come Trieste e Genova per una espansione internazionale verso centri logistici e intermodali.

In concreto di quali misure le Autorità portuali avrebbero bisogno?

Per fare delle Adsp dei concreti volani di sviluppo sarebbero necessari pochi interventi mirati. Interventi da porre in essere per liberare gli Enti portuali dai troppi limiti e lacciuoli imposti dalla riforma del 2016 e dalle diverse leggi di contenimento della spesa pubblica che compromettono le possibilità di azione delle Adsp. Il vero auspicio è che il dibattito sulla riforma delle Autorità possa focalizzarsi sul tema cruciale della funzione economica e sociale dei porti, senza incagliarsi sulle secche di una discussione astratta e probabilmente inutile sul tema della “governance”.

  

  
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