Economia del mare e lavoro marittimo in Italia. Analisi e prospettive per il 2023

Nicola Silenti

Articoli dedicati, resoconti ufficiali e numerosi convegni effettuati necessari per ricavare dati certi e tirare le somme sullo stato della economia del mare in Italia per il prossimo futuro e di conseguenza rilanciare il lavoro in tutto l’universo marittimo che resta l’unico settore di impiego  del Paese non ancora compiutamente indagato.

Chiunque vuole conoscere i flussi e le tendenze del mercato del lavoro in ogni singolo settore del mare finisce col ritrovarsi davanti a un muro di indefinitezza che si riesce a scalfire appena andando a scartabellare tra studi e pubblicazioni a sé stanti, spulciando, comparando e interpretando percentuali spesso discordanti, fonti diversificate e solo di rado unisone con studi commissionati da sigle autonome o associazioni di categoria.

Dallo studio comparato di tutte le fonti a disposizione è possibile desumere le cifre relative alla filiera dell’economia del mare il cui quadro definitorio include: movimentazione di merci e passeggeri, filiera ittica, industria delle estrazioni marine, attività sportive e ricreative, filiera della cantieristica, ricerca, tutela ambientale e servizi di alloggio e ristorazione.

In un Paese come l’Italia, bagnato dal mare per circa l’82% dei suoi confini, la filiera dell’economia del mare costituisce quindi una parte importante del proprio sistema produttivo che semplificando quanto sopra, possiamo individuare in tre settori: trasporti, pesca e diporto che, come è noto, ricadono sotto la competenza di vari dicasteri, vanificando quelle proposte ed iniziative che dovevano essere alla base di una concreta istituzione di un Ministero del mare.

Purtroppo quanto stabilito genera perplessità non incidendo sulla effettiva capacità di governare un comparto alquanto complesso per lo sviluppo del quale sarebbe necessaria una visione più ampia e completa sull’economia del mare, tenuto conto delle dinamiche generate da pandemia e guerra che hanno accelerato i processi di cambiamento in corso confermando come ossatura dei commerci il “trade” via mare anche se oggi si osserva una forte battuta di arresto dell’export cinese. Per completezza di informazione si riferisce che, lungo le coste cinesi tra Qingdao, Shanghai e Ningbo, ci sono più di 90 navi ferme non essendoci carico con enormi volumi di contenitori vuoti. Ciò nonostante l’economia mondiale è ancora in crescita con un aumento del commercio via mare del 2,3% con l’import-export italiano che ha sfiorato i 183 miliardi euro.

In tale contesto emerge con chiarezza l’importanza del trasporto marittimo con la necessità di riaffermare per l’Italia il suo ruolo centrale  nel Mediterraneo che si sta “trasformando da semplice mare di transito a mare dove crescono i commerci e le attività logistiche e dove i porti , a partire da quelli italiani e del Mezzogiorno, diventano sempre più importanti, anche nel loro nuovo ruolo di hub energetici” come dichiarato da Massimo Deandreis, direttore generale Centro studi SRM di Intesa Sanpaolo. Nei numeri e dati riportati dal suddetto Centro studi nel nono rapporto sulla economia del mare, già richiamato in un precedente articolo, mi viene spontaneo aggiungere i circa 40.000 marittimi impiegati ed una flotta di 1400 navi che da qualche tempo sembra siano scomparse dal discorso generale sulla economia marittima non tenendo conto che assicurano anche la mobilità di milioni di persone nella continuità territoriale tra le isole.

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