Nel settore del trasporto marittimo, purtroppo non conosciuto da molti, ci si è trovati ad affrontare l’emergenza pandemica in una situazione di totale abbandono da parte di tutte le istituzioni nazionali, europee ed internazionali.
Questi lavoratori da sempre si confrontano con il mondo del lavoro nel più assoluto precariato. Il lavoro marittimo è disciplinato principalmente da organismi internazionali - ONU, ILO ed IMO - che dovrebbero, in teoria, regolamentarne diritti e doveri equi e dignitosi per tutti, ma di fatto questi enti durante la pandemia non sono riusciti neanche ad organizzare normali turnazioni di imbarco e sbarco.
Lo shipping da sempre ha mostrato la vera natura di questa globalizzazione che, contrariamente a quanto ci è sempre stato detto, con regole fittizie ed al ribasso sta favorendo solo una corsa al profitto di pochi soggetti creando un dumping socio/economico globale.
Ad aggravare la condizione dei nostri connazionali marittimi è la reminiscenza delle nostre istituzioni nei confronti di una categoria che da sempre è stata ambasciatrice nel mondo del bel paese e che ha fatto della nostra nazione una eccellenza sulla professionalità ed umanità riconosciuta da tutti a livello nazionale.
Il cluster marittimo, sussidiario e complementare per un piano nazionale di logistica integrata per l’Europa, potrà e saprà contribuire al rilancio economico del paese.
Il governo e la politica italiana, investendo su porti, retro porti, piattaforme logistiche e infrastrutture per i collegamenti integrati, devono mettere obbligatoriamente a sistema le varie fasi (mare, terra ed aria) di trasporto di persone e merci sia nazionale che internazionale e devono attivare, necessariamente, percorsi di riforme serie, sia normative che
legislative ( legge 30/98, tonnage-tax ecc).
Siamo all’alba di grandi sfide che necessitano di altrettante scelte coraggiose che passano, inevitabilmente, anche da una verifica sulle regole per la rappresentanza.
La crisi del trasporto cabotiero marittimo, ad esempio, dovuta all’emergenza sanitaria e dai rinnovi dei contratti di servizio per la continuità territoriale poteva essere un’opportunità solo se il settore avesse definito, lo scorso dicembre, un contratto nazionale per le attività marittime, con regole “erga homnes” orizzontali.
Solo se utilizzassimo al meglio le risorse pubbliche strutturali già a disposizione, contratti di servizio – registro internazionale – tonnage-tax, si potrebbero innovare sistemi come la sanità, ammortizzatori sociali, clausole sociali, formazione e sicurezza in modo da stabilire regole e norme uguali per tutti i players armatoriali.
A conferma della poca lungimiranza e della incapacità dei rappresentanti dei lavoratori a progettare il futuro attraverso il contratto nazionale, possiamo prendere ad esempio il capitolo degli allievi ai quali, con un salario di 690 euro mensili, abbiamo affidato il domani della nostra marineria.
Eppure il legislatore italiano , supportato dalla comunità europea che è molto presente nelle dinamiche del mare, ha introdotto nella tonnage-tax, una legge fiscale forfettaria (artt. 155 e 161 del tuir ) molto apprezzata dal nostro armamento, l’obbligo di imbarco sulle navi di un allievo o in alternativa un contributo a carico dell’armatore di 62 euro al giorno, pari alla paga giornaliera riconosciuta nell’allora ccnl, rivalutabili secondo l’andamento contrattuale e da versare nel fondo marinaro del quale ad oggi non si hanno notizie.
Non vogliamo oggi entrare nella gestione del suddetto fondo ma limitandoci a fare solo due calcoli scopriamo che imbarcando due allievi su una nave questi costerebbero insieme 1380 euro, quindi 21 euro al giorno per ognuno, 41 euro in meno rispetto ai 62 euro previsti dalla norma per ogni singolo allievo.
Investire sul futuro è la premessa necessaria per continuare a sperare, tagliare sul futuro è una condanna certa.