Minimum Wage or not? That’s the question!

Ormai non si parla d’altro: il salario minimo è diventato un’ossessione, una bandiera di lotta (rectius parte) politica e, quindi, come O.S. dobbiamo affrontare l’argomento, soprattutto ora che il tema è finito sul tavolo del CNEL.

CONFSAL è impegnata in prima linea sul problema, ma anche noi – come Federazione Autonoma dei Trasporti ad essa aderente – riteniamo giusto e necessario dire la nostra. Non per gettarci nella mischia, ma perché siamo convinti che il nostro punto di osservazione privilegiato, nel momento in cui la questione accende il dibattito politico-economico, sia a livello nazionale che europeo, ci consenta di fare confronti, analisi, critiche e proposte concrete.

A questo proposito, riteniamo, innanzitutto, fondamentale formulare una prima critica alla proposta di legge dell’attuale opposizione, soprattutto nella parte in cui definisce il valore del salario minimo, in quanto non può essere un atto parlamentare a risolvere dibattito e questioni inerenti alla questione de qua. Un intervento statale in materia, infatti, soprattutto se in esso si prevedono facilitazioni pubbliche, solleva non poche preoccupazioni sull’alterazione della concorrenza tra aziende, sulle dinamiche di mercato, rendendo le determinazioni salariali meno sensibili alle forze correlate alla domanda ed alla offerta.

La nostra non adesione al salario minimo di legge non si basa sul rifiuto dell’idea di garantire una paga dignitosa ai lavoratori, al contrario! Per noi va ricercato un meccanismo alternativo che raggiunga l’obiettivo e che si chiama salvaguardia dei CCNL o valorizzazione del negoziato sindacale, sempre meritevole di piena considerazione.

Tale negoziato, soprattutto se supportato da idonea legislazione, rappresenta un mezzo più equo e, prima di ogni cosa, più adatto a determinare i salari. La legge, per via della sua generalità, sarebbe “una notte in cui tutte le vacche sono nere” con l’applicazione di un unicum valido per ognuno, lavoratori ed aziende, indipendentemente dalle circostanze, dal settore e dal momento economico. Quando invece la “mercede” del lavoratore viene negoziata puntualmente tra le parti sociali, essa riesce a garantire salari equilibrati che riflettono le condizioni reali dell’impresa e del mercato del lavoro.

Si potrebbe qui eccepire che ciò sarebbe già dovuto accadere da tempo, ma se il Sindacato non fosse veramente riuscito a garantire, in questi anni e con il negoziato, una retribuzione dignitosa a chi rappresenta, bisognerebbe oggi analizzare veramente le criticità e risolverle, senza consegnare il proprio ruolo politico-sociale al grande Leviatano, in quanto significherebbe consegnare le armi senza combattere, confessare di aver fallito o, peggio, confessare di aver tradito il proprio mandato.

Agli attuali sostenitori del salario minimo va ricordata la sentenza n. 106/1962 della Corte costituzionale che segnalò ai ricostituiti e liberi sindacati di non cullarsi troppo sulla postergazione delle norme corporative erga omnes, ma di impegnarsi per il loro fine naturale: la contrattazione.

Va anche sgombrato il campo dal falso e “politically correct” problema che sarebbero i c.d. “contratti pirata” a causare il salario povero: in primis perché i numeri usciti ultimamente dal CNEL dicono il contrario, in secundis perché le recenti vicende legali sul CCNL della vigilanza non armata confederale sono note a tutti.

Se di intervento legislativo si dovesse parlare, il primo dovrebbe riguardare l’attuazione dell’art. 39 Cost., magari passando per un avviso comune come nel settore pubblico e per un framework della c.d. “contrattazione di qualità”, oppure tramite una tempistica dei rinnovi dei CCNL più o meno agevolata fiscalmente per chi non supera o anticipa il periodo dei canonici sei mesi. Far diventare, ad esempio, l’indennità di vacanza contrattuale (IVC) una vera e propria pesante penale, e non semplice e leggero balzello, farebbe rispettare alle parti i termini di rinnovo senza dover aspettare circa 10 anni come successo al CCNL Multiservizi o l’intervento della Consulta per colpire la noluntas contrattuale dell’ARAN.

Il dibattito sul salario minimo resta comunque un problema complesso che richiede analisi profonde e, di certo, non lo si può ridurre a mero slogan. Se fosse, infatti, il contrario, chi pecca “pensando male” potrebbe opinare che ci troviamo di fronte a una campagna elettorale con supplenza sindacale o, nella peggiore delle ipotesi, ad un tentativo di sfruttamento di presunta posizione dominante.

Ma ci soccorre qui sempre la sentenza n. 34/1985 della Corte costituzionale quando afferma che, “(…) La libertà di organizzazione sindacale verrebbe infatti vanificata o privata delle sue fondamentali implicazioni, se non fosse comprensiva dell’attività contrattuale e della connessa libertà negoziale (…)”. Ma se, al tempo, “(…) nella specie, [il blocco della contingenza] questa competenza [fosse stata] indebitamente invasa o compressa dal legislatoreessendo mancato il consenso della componente maggioritaria (…)”, come potrebbe ora, a parti invertite, la stessa componente, contraria all’ultimo documento del CNEL, imporre a tutti gli altri la sua volontà, anche volendo contare a favore una sola astensione?

Se poi, già nel 1983 con una contrattazione abbastanza semplice, la contingenza non era “(…) l’unico mezzo atto a soddisfare le esigenze indicate nell’ultima parte dell’art. 36, primo comma; bensì di uno tra i vari strumenti possibili (…)”, quarant’anni dopo e con un sistema di relazioni sindacali molto più articolato, in nome del “(…) consenso di una confederazione sindacale, [si]  fini[rebbe] per riproporre in veste diversa la pretesa violazione dell’art. 39, primo comma, su cui [la] Corte si è già pronunciata (…)”.

È nostra opinione, e della CONFSAL, che più della legge sul salario minimo, l’Italia abbia bisogno di un rafforzamento del ruolo sindacale e del negoziato collettivo, però non più estensivamente omogeneo, bensì più specificatamente flessibile.

La soluzione ideale potrebbe essere una combinazione di entrambi, cercando un equilibrio tra necessità di garantire un reddito dignitoso ai lavoratori e la perseverazione della competitività delle imprese. Ciò richiederà un’attenta valutazione delle circostanze economiche e della legislazione di supporto da introdurre, a meno che non si voglia presupporre un tentativo di passaggio al sistema di union shop anglosassone e, sempre “pensando male”, un nuovo sistema di relazioni industriali devote alla c.d. sweet-heart collective bargaining o più comprensibilmente: “contrattazione gialla”.

Ha collaborato Francesco Marcelli

  

  
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