Non siamo fan dello Stato imprenditore, né pensiamo che i privati non siano in grado di svolgere egregiamente un servizio pubblico. Anzi, negli ultimi 70 anni di storia nazionale abbiamo verificato più volte che le aziende pubbliche hanno pensato più a distribuire poltrone e prebende agli amici e profitti ai soci che servizi agli utenti.
Non è un caso che dall’Iri ad oggi lo Stato abbia progressivamente ceduto, interamente o parzialmente, gran parte delle sue partecipazioni. Detto questo, bisogna anche riconoscere che in alcuni settori il pubblico se la cava alla grande.
Pensiamo all’energia o alle Ferrovie, ad esempio, dove numerose aziende controllate del tutto o in parte da soggetti pubblici riescono a far bene sia sotto il profilo economico che sotto quello industriale. Ora che l’emergenza scatenata dall’epidemia ha spazzato via in un colpo solo le pregiudiziali ideologiche e di principio che da anni dividono statalisti e liberisti, il dibattito sulla convivenza di pubblico e privato nelle democrazie occidentali si è riaperto.
Nel momento in cui lo Stato è chiamato a sopportare il peso della violenta tempesta che si sta abbattendo sulle nostre economie, mettendo a rischio la sopravvivenza delle imprese e del nostro tessuto produttivo, c’è chi sta rivalutando la necessità di una maggiore presenza delle istituzioni proprio a garanzia del corretto funzionamento del mercato.
Finita la pandemia, ci sarà tempo per riflettere su nuovi equilibri e nuovi scenari. Ci sono questioni, però, che non possono aspettare. I marittimi e i servizi marittimi per la continuità territoriale sono una di queste e se il tempo è corso veloce per Alitalia, sembra che la partita sia iniziata anche per Tirrenia-cin ed i suoi lavoratori.
Come per l’Alitalia, parlare di pubblico per Tirrenia non è facile. Dal 2000 al 2007 la compagnia di navigazione allora controllata dal Tesoro ha bruciato risorse dei contribuenti per un miliardo e mezzo di euro, con perdite di circa 200 milioni l’anno. E la vendita nel 2012 , pur con tutte le possibili obiezioni sul terreno delle regole antitrust, aveva garantito la fine del salasso di risorse pubbliche e la sopravvivenza della società.
Ma ora che le nubi si addensano di nuovo all’orizzonte, il governo
dovrebbe forse essere capace di fare una scelta.
La rinazionalizzazione di Tirrenia può e deve essere un’opzione sul tavolo. sfruttando anche il carburante fornito dalla recente decisione della
Commissione Ue, secondo cui circa 135 milioni (altri 116 milioni sono versati direttamente dalle regioni per il collegamento con le isole minori
c.d. procedure in house) che ogni anno lo Stato versa a Tirrenia e Siremar per navigare tra le isole non sono aiuti di Stato, ma il corrispettivo per il servizio pubblico effettuato.
Lo Stato è già, in buona parte, il principale finanziatore della compagnia. Salvare la continuità territoriale e i marittimi che da decenni vanno per mare e riprendere il controllo della compagnia è un’ipotesi che il governo non può permettersi di trascurare.