Geoeconomia/ La Belt and Road cinese come “percorso di felicità”? Dubbi, rischi e prospettive

Nicola Silenti

Il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha recentemente compiuto una visita ufficiale in Cina, un evento significativo sia per le relazioni bilaterali tra i due Paesi, sia per il ruolo che l’Italia gioca nell’ambito delle iniziative economiche globali promosse da Pechino, in particolare la Belt and Road Initiative (BRI)meglio conosciuta come la Via della Seta, questa grande autostrada tra Asia, Europa e Africa con una rete fittissima di snodi infrastrutturali marittimi e terrestri.  

Durante la visita, i rappresentanti di questo grande paese che si estende dal Kazakhistan fino alla Russia, dalla Mongolia fino al Vietnam che già ammaliò l’italiano Marco Polo di cui quest’anno si celebra il 700 anniversario della scomparsa,  hanno sottolineato la Belt and Road come un “percorso della felicità”, concetto riportato dal China Daily e utilizzato dalla leadership cinese per enfatizzare la natura collaborativa e il presunto impatto positivo dell’iniziativa sulle nazioni partecipanti. La BRI, lanciata nel 2013 dal Presidente Xi Jinping, mira a creare una rete globale di infrastrutture e investimenti che attraverso i sopracitati collegamenti rafforza i legami commerciali e culturali tra i Paesi coinvolti.

Mattarella ha ribadito l’importanza della cooperazione economica e culturale tra Italia e Cina, pur ponendo l’accento sulla necessità di uno sviluppo sostenibile e di un equilibrio che rispetti gli interessi di tutte le parti coinvolte. Questa posizione si allinea con il desiderio di mantenere una politica estera italiana che, da un lato, sia aperta agli investimenti esteri, ma che dall’altro salvaguardi la sovranità e le esigenze strategiche nazionali.

La Belt and Road, nonostante le promesse di prosperità e sviluppo, è stata oggetto di critiche da parte di vari osservatori internazionali. Molti hanno evidenziato come i progetti finanziati da Pechino possano portare i Paesi partecipanti a indebitarsi eccessivamente, creando una dipendenza economica difficile da gestire. Inoltre, la modalità operativa cinese, caratterizzata da un uso intensivo di contratti opachi e da un approccio preferenziale verso le proprie imprese, è stata spesso accusata di favorire Pechino a scapito delle economie locali. Il modo di operare di Pechino all’estero è ormai noto come avevamo già riportato su queste pagine: politico, culturale, economico industriale e anche militare, all’insegna di una guerra combattuta senza armi convenzionali con gli Stati Uniti d’America e l’Occidente per scopi che includono tra l’altro il controllo del traffico mondiale delle merci.

In questo contesto, la visita di Mattarella assume una valenza particolare. L’Italia è stato il primo Paese del G7 ad aderire formalmente alla Belt and Road nel 2019, una decisione che suscitò dibattiti sia a livello nazionale che internazionale. Tuttavia, con il passare degli anni, il panorama globale è cambiato, e anche Roma sta riconsiderando il proprio coinvolgimento per bilanciare meglio i rapporti con gli alleati occidentali tenuto conto che la realtà impone di continuare a fare affari con la Cina anche perchè alcuni porti del Mediterraneo continueranno a essere scali di diretto interesse cinese. Il rallentamento del commercio cinese avvertito nel 2023 in effetti ha ripreso a crescere nel 2024 con aumento del 6,6 % delle esportazioni e del 5,3% delle importazioni con una tendenza alla conferma di tale espansione.

La narrazione cinese della BRI come “percorso della felicità”, ampiamente evidenziata dalla stampa specializzata cinese, punta a dipingere l’iniziativa come uno strumento di mutuo vantaggio e solidarietà internazionale e quindi a beneficio di tutta l’umanità. Tuttavia, per i Paesi che vi aderiscono, è essenziale valutare con attenzione le condizioni dei progetti e le implicazioni a lungo termine. I rapporti con la Cina devono essere letti come un tentativo di mantenere aperto il dialogo e ricercare forme di cooperazione equilibrate e trasparenti, riaffermando al contempo l’importanza di una politica estera che tuteli gli interessi nazionali e promuova anche una crescita condivisa.

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