Chi può stabilire l’orario di lavoro?

Carlos Arija Garcia

La legge, i Ccnl, il datore: tutti possono determinare le ore di attività del dipendente. Ma anche quest’ultimo lo può fare in certi casi.

Recuperare le energie psico-fisiche, partecipare ad un minimo di vita sociale, dedicare del tempo alla famiglia e a sé stessi, leggere un libro, visitare un museo: cose che (non necessariamente in quest’ordine) fanno o dovrebbero far parte della vita di ogni persona ma che molto, troppo spesso vengono sacrificate per lo spazio dedicato al lavoro. Non bastano le quattro settimane di ferie annue per soddisfare quelle e altre esigenze: per questo la legge impone dei limiti precisi alla durata quotidiana della prestazione lavorativa. Ma chi può stabilire l’orario di lavoro? È un compito stabilito dalla legge, dalla contrattazione collettiva o dal singolo datore?

La normativa che riguarda l’orario di lavoro [1] ha come scopo uniformare i profili del rapporto di lavoro legati all’organizzazione aziendale. La disciplina viene applicata ai lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato (compresi gli apprendisti maggiorenni) delle aziende appartenenti a tutti i settori di attività, con queste eccezioni:
  • marittimi;
  • autotrasportatori;
  • personale di volo dell’aviazione civile;
  • addetti ai servizi di vigilanza privata;
  • personale di scuola;
  • dirigenti, manodopera familiare, lavoratori a domicilio e addetti al telelavoro quando la durata dell’orario, per le caratteristiche dell’attività svolta, non è misurabile o predeterminabile oppure può essere fissata dagli stessi lavoratori.

Come si vede, dunque, ci sono dei casi in cui è addirittura il dipendente a decidere riguardo il suo orario di lavoro. Ma oltre a lui in certe circostanze, chi lo può stabilire?

Cosa si intende per orario di lavoro?

Volendo dare una definizione dell’orario di lavoro, si può dire che è qualsiasi periodo in cui il dipendente è a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Il lavoratore si trova, quindi, nella sfera tecnico-organizzativa del datore e, pertanto, soggetto al suo potere direttivo. Ciò significa che si deve considerare «orario di lavoro» l’arco temporale trascorso dal dipendente all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività inerenti lo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, se il datore di lavoro non prova che egli sia libero di autodeterminarsi o non sia assoggettato al potere gerarchico.

Rientrano formalmente nell’orario anche i periodi in cui i lavoratori sono tenuti ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore e a tenersi a disposizione di quest’ultimo per poter fornire la loro opera in caso di necessità. Allo stesso modo, la giurisprudenza ha ritenuto che facciano parte dell’orario di lavoro:

  • il cosiddetto «tempo tuta», cioè il momento della vestizione e della svestizione della divisa aziendale imposta dal datore ed il tempo di percorrenza tra lo spogliatoio ed il luogo in cui materialmente si svolge l’attività (e ritorno, ovviamente). Si pensi a medici, infermieri, addetti ai banconi dei supermercati, operai di una fonderia, ecc., a condizione, però, che il datore costringa il dipendente alla vestizione o svestizione in azienda, ad esempio per motivi igienico-sanitari;
  • il tempo impiegato dal luogo di raduno (noto come «punto di raccolta», solitamente la sede legale o il magazzino) al luogo di lavoro (cantieri) se funzionale alla prestazione;
  • le soste di lavoro (anche se di durata superiore ai 15 minuti) concesse all’operaio nei lavori molto faticosi allo scopo di dargli la possibilità di riprendersi per continuare la sua attività;
  • il tempo impiegato dal lavoratore, anche al di fuori del luogo di svolgimento abituale dell’attività lavorativa, per la formazione imposta dal datore di lavoro.

Non rientrano, invece, nell’orario di lavoro, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità:

  • la reperibilità, cioè il tempo in cui un lavoratore si trova nella propria abitazione ma disponibile alla chiamata del datore in caso di necessità;
  • riposi intermedi;
  • il tempo impiegato per andare da casa al lavoro e dal lavoro a casa, salvo diverse migliori disposizioni del contratto nazionale di categoria;
  • le soste di lavoro di durata compresa tra 10 minuti e 2 ore durante le quali non è richiesta alcuna prestazione;
  • il tempo impiegato quotidianamente per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta (ad esempio, per andare per andare dall’hotel e/o residenza al luogo in cui deve svolgere la sua attività): in questo caso, il disagio psico-fisico e materiale del lavoratore è assorbito dall’indennità di trasferta
  • la pausa pranzo di 30 minuti.
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