Con la formazione del nuovo governo Meloni, a cui nonostante già si affaccino “franchi tiratori” auguriamo buon lavoro, ritorna un Ministero dedicato al Mare e, aspetto da non da sottovalutare per chi scrive, in quanto meridionale, caratterizzato dal binomio con il Sud.
Si tratta di un Dicastero che si attendeva da anni anche perché, volenti o nolenti, questo è il secolo della globalizzazione dove ha raggiunto un’importanza vitale la “blueconomy”.
Con l’80 per cento dei nostri confini bagnati dal mare, la ”blue economy” costituisce, infatti, una parte molto importante del sistema produttivo nazionale, con circa 200.000 imprese impegnate in attività primarie come la pesca, a quelle terziarie del turismo marino, dei trasporti marittimi e della ricerca e regolamentazione ambientale, passando per quelle secondarie quali la cantieristica.
L’Italia, per la sua posizione geografica particolarmente privilegiata nel cuore del Mediterraneo ha sempre avuto una forte vocazione marittima, fin dai tempi dell’Impero Romano d’Occidente, quando l’Urbe esercitava la sua politica talassocratica nel ”Mare Nostrum”.
Ed il mare è ancora volano di sviluppo della Penisola nel periodo medievale quando si impongono sul panorama europeo e mediterraneo le Repubbliche Marinare che sottrassero a Bizantini e Arabi il controllo del Mediterraneo, punto di approdo delle merci che dalla Cina, sulla via della seta, giungevano in Italia e da qui nel resto d’Europa.
Dopo l’unificazione italiana, nel 1861, grazie alla lungimiranza del Cavour, il Ministero della Marina – Divisione della Marina Mercantile e della Sanità Marittima, divenne Direzione Generale della Marina Mercantile, con competenze in materia di demanio marittimo, vigilanza, sicurezza e soccorso in mare, lavoro marittimo e portuale. Sovrintendeva alle attività di pesca e di tutela e difesa dell’ambiente marino, intervenendo in caso di inquinamenti causati da incidenti. La disciplina sulla navigazione in Italia ed i servizi di fari e fanali, rimasero in capo al Ministero dei Lavori Pubblici.
Nel 1865, con l’obiettivo di unificare due preesistenti organismi di gestione dei porti e dell’amministrazione marittima, venne istituito il Corpo delle Capitanerie di Porto e, nello stesso anno, pubblicato il Codice per la Marina Mercantile. Con l’avvento del Fascismo fu nominato dal 19 novembre 1922 un Commissario per i servizi della marina mercantile fino al 30 aprile 1924, allorché, il ramo venne collocato nel Ministero delle Poste e Telegrafi che da lì a poco diventerà Ministero delle Comunicazioni, con il precedente status di Direzione Generale della Marina Mercantile.
Sotto l’egida di tale amministrazione venne emanato con Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327 il Codice della Navigazione, che ha oramai compiuto ottant’anni (tralaltro portati benissimo!) e introdotto, nel Libro I, Titolo I, Capo I, concernente l’amministrazione della navigazione marittima, l’articolo 15 rubricato “Ministro competente”, in cui si riconosce formalmente un Ministero ”ad hoc”.
Nel 1946, con l’Italia repubblicana, nasce il Ministero della Marina Mercantile che, nel 1947 viene dotato di una sua bandiera, ossia il tricolore italiano sormontato dall’emblema della marina mercantile. Al nuovo dicastero vennero devolute le attribuzioni del ramo mercantile già appartenenti al Ministero delle Comunicazioni.
Nel 1993 il dicastero viene accorpato al Ministero dei Trasporti, che, per l’occasione, viene ribattezzato Ministero dei Trasporti e della Navigazione. Le funzioni relative alla protezione dell’ambiente marino sono devolute al Ministero dell’Ambiente, quelle sulla pesca marittima e acquacoltura al Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali.
Con la riforma Bassanini del 1999 avviene l’accorpamento con il Ministero dei lavori pubblici per formare il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che, progressivamente, raccolse l’eredità del Ministero della Marina Mercantile costituendo il Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale – Direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d’acqua interne.
Oggi come allora, dopo il raddoppio del Canale di Suez e l’ascesa, che sembra inarrestabile, di una Cina che sta consolidando la sua ”leadership” mondiale nello “shipping” il Mediterraneo deve ritornare centrale nella politica economica e, soprattutto, estera del Paese.
Il Ministero assunto da Nello Musumeci parte da un progetto già avviato con un Disegno di Legge n. 917 che fu presentato da FDI al Senato il 5 novembre 2017 a cui rimando per i contenuti.
Il Paese è dotato di 7.456 chilometri di coste, 155.000 chilometri quadrati di acque marittime, interne e territoriali, e 350.000 chilometri quadrati di acque con un patrimonio non solo naturalistico, storico e culturale ma anche economico.
Un Ministero del Mare dovrebbe ritornare ad essere il riferimento istituzionale di compiti e attribuzioni precedentemente “frammentate” in diversi Dicasteri.
Avrà il delicato compito di promuovere politiche che tengano in considerazione che siamo geograficamente una piattaforma logistica e sulla risorsa mare dobbiamo intensificare gli sforzi per incrementare PIL e occupazione.
E da meridionale apprezzo la connessione tra Mare e Sud nella denominazione assunta dal dicastero in quanto è dai porti meridionali e dalla funzionalità delle zone economiche speciali che si auspica la ripresa di un ruolo nevralgico nel Mediterraneo che geografia e storia ci hanno destinato
Augurandoci fin da subito, che il mare torni al centro della strategia politica nazionale, non solo in termini di PIL ma anche per accrescere il nostro peso geopolitico nel Mediterraneo allargato, è innegabile la rilevanza politico –amministrativa di una struttura che sappia leggere e innovare la passata tradizione del ministero della Marina Mercantile, mettendo nuovamente a sistema la gestione dell’intero ”cluster marittimo”, i cui aspetti sono oggi dispersi tra diverse amministrazioni che ne soffocano lo sviluppo.