Nicola Silenti
La competitività dell’economia del mare in una prospettiva di sviluppo del Paese e di autonomia strategica europea con proposte, analisi e approfondimenti del sistema mare. È questo il tema cruciale affrontato dal rapporto “Progetto Mare” realizzato da Confindustria insieme alle sue rappresentanze associative ed in particolare quelle del cluster marittimo e portuale, con l’obiettivo di dare inizio a un percorso attuativo di tutte le proposte elaborate negli ultimi anni per il rilancio del settore intorno ai quattro grandi cardini della governance e delle riforme, infrastrutture e intermodalità, politiche industriali, Mezzogiorno e Mediterraneo.
Lungi dall’essere un punto di arrivo, il Rapporto ribadisce con forza la necessità di definire una strategia chiara a favore dell’economia del Mare valorizzando le già rilevanti potenzialità del comparto e contribuendo in modo significativo al suo sviluppo e alla sua competitività, nell’ottica più generale di un rilancio su scala produttiva e territoriale dell’intero sistema Paese.
Un obiettivo da perseguire, non ci stancheremo mai di ribadirlo, con il presidio indispensabile e il supporto indifferibile di un Ministero del mare capace di raccogliere e coordinare tutto quanto ruota intorno alla “risorsa mare”, dalla filiera ittica alle attività portuali, dalla cantieristica al diporto, dal trasporto marittimo di passeggeri e merci al turismo costiero e alle mille altre attività collegate senza dimenticare la centralità del fattore umano e la miriade di criticità che imperversano sulla questione dell’occupazione marittima.
Insieme all’individuazione degli obiettivi da perseguire, dal voluminoso rapporto di Confindustria emerge in modo inequivocabile che la crisi economica e finanziaria che ha colpito anche il mondo dello”shipping”a partire dall’agosto del 2008 sino al biennio nefasto della crisi pandemica ha lasciato il segno anche nei diversi comparti del settore, capaci tuttavia di una reazione ai limiti dell’incredibile con la strenua difesa dei quasi 530 mila posti di lavoro complessivi e un fatturato di 82,2 miliardi di euro, superando in Italia il 25 per cento del PIL nazionale come ricordato di recente dalla divisione Nomisma mare.
Un dato assoluto impressionante se si considera che un quarto dell’economia nazionale trova proprio nel mare,direttamente o indirettamente, il suo fattore di sviluppo naturale. Una realtà certificata dai numeri della flotta italiana, tra le protagoniste del mercato mondiale con posizioni di assoluto rilievo nei settori delle navi da crociera,navi RoRo e chimichiere, e che i nostri cantieri navali ricoprono posizioni di leadership in settori delicati e tradizionalmente pretenziosi come quello dei super yacht, punta di diamante di una nautica da diporto che riveste rilevanza mondiale. Non a caso l’Italia è al primo posto in Europa per traffico crocieristico, con evidenti ricadute sul mercato del turismo, senza dimenticare il peso strategico dei collegamenti marittimi a garanzia della continuità territoriale nel Paese e la crescita seppur leggera dei principali porti italiani.
A dispetto di questi numeri d’eccellenza tuttavia il rapporto di Confindustria sottolinea il permanere di elementi di preoccupazione per lo stato di salute del comparto, segnalando con forza la necessità di elaborare strategie mirate per assicurare una buona volta agli operatori a tutti i livelli una vera semplificazione amministrativa e procedurale in grado di snellire le inutili lungaggini quotidiane. Obiettivi prioritari: la revisione del codice della navigazione, l’attuazione regolamentare del codice della nautica da diporto, la semplificazione delle procedure di valutazione ambientale per l’attuazione dei dragaggi.Un secondo ambito di intervento quanto mai rilevante è quello delle politiche industriali a sostegno dei principali comparti industriali marittimo portuali: quello delle infrastrutture e della logistica,della cantieristica, dell’armamento, della pesca e dei porti. Particolare attenzione va poi riservata all’infrastrutturazione della nautica da diporto, alla sua filiera industriale e a quella turistica, la cui valenza competitiva e territoriale rappresenta già una realtà, ma le cui potenzialità risultano ancora non del tutto sfruttate. Le tipologie di intervento sono indubbiamente numerose e dovrebbero includere, tra le tante urgenze, anche una regolamentazione unitaria e uniforme delle concessioni balneari e l’ammodernamento del naviglio peschereccio.
Oltre alle statistiche e agli obiettivi prioritari per il rilancio del settore, dal rapporto Progetto mare di Confindustria emerge la necessità di incentivare una maggiore diffusione della cultura del mare nelle nuove generazionie in particolare tra i giovani marittimi, specie in un momento in cui si parla con insistenza di crisi delle vocazioni, per coinvolgerli a pieno titolo nel processo evolutivo del sistema marittimo italiano e per migliorarne le prospettive di mobilità in modo che, una volta conclusa l’esperienza di bordo,possano fare ingresso nel mondo dello shipping con servizio a terra nel management tecnico e nella gestione dei porti.
Altra necessità indifferibile è quella di assegnare alla strategia di sviluppo dell’economia del mare una dimensione territoriale, nella quale l’intero Paese e soprattutto il Mezzogiorno possano combinare le potenzialità del cluster marittimo-portuale e delle attività economiche svolte nei porti e nei retroporti con quelle della produzione industriale, non solo in funzione degli scambi commerciali ma anche come leva per l’attrazione di investimenti produttivi, secondo una logica più estesa di integrazione economica determinata dalle connessioni infrastrutturali con i porti e tra i porti e il territorio. Un territorio che deve saper investire sulle peculiarità specifiche di ogni distretto, tra grandi porti del Nord (Genova, Savona, La Spezia, Trieste, Venezia, Ravenna), del Centro (Livorno, Civitavecchia, Ancona) e del Sud (Napoli, Salerno, Bari, Brindisi, Taranto, Gioia Tauro, Cagliari, Catania, Palermo), senza trascurare tuttavia le tante realtà di medie e piccole dimensioni che presentano elevate potenzialità di crescita.
Un occhio di riguardo poi va riservato allo strumento delle Zone economiche speciali ZES del Mezzogiorno e delle Zone Logistiche Semplificate ZLS del Centro-Nord, nate per valorizzare un territorio interessato dalla presenza diffusa lungo tutta la fascia costiera del Paese di una portualità industriale e logistica, in termini di capacità di attrazione di nuovi investimenti e di sviluppo di quelli esistenti, che a conti fatti rappresentano un’opportunità tutta ancora largamente da cogliere.
Nicola Silenti