Vince Mattarella, perde l’Italia

Nicola Silenti

Tanto tuonò che non piovve nemmeno una goccia d’acqua. Il cielo plumbeo che incupisce da troppo tempo l’Italia continua ad aleggiare come uno spettro sulle meste giornate di un popolo di cittadini piegati e disillusi. Un popolo di uomini e donne condannati da troppo tempo agli spettacoli deprimenti di una politica malaccorta e volgare, incapace di una vera e seria offerta condivisa di rinnovamento delle istituzioni che vada oltre il solito rosario di strategie autoreferenziali, tattiche temporeggiatrici e slogan a favore di telecamera.

Una politica arruffona unita in nulla se non da un istinto di sopravvivenza, tutta sprezzante e irridente nei confronti delle mille urgenze reali del Paese. Una politica disposta a tutto pur di conservare poltrona e privilegi e incapace di offrire lo straccio di una speranza a un popolo ormai allo stremo, sfiancato dai rincari incontrollabili dell’energia (luce, gas, benzina, gasolio) e alle prese con un’ondata inflattiva generalizzata pronta ad incombere su un presente già alle prese con un oceano di conseguenze imprevedibili.

Che la politica italiana non vivesse un memorabile momento di fulgore lo si era capito da tempo, e il ricorso a un ennesimo presidente del Consiglio estraneo al mondo politico come Mario Draghi ne era l’ultima palese conferma. Tuttavia, fra chi ha avuto il fegato di assistere alle dirette televisive al seguito delle otto tornate elettive presidenziali, tra indiscrezioni e retroscena e interviste bipartisan in presa diretta, è stata forte la sensazione di essere davanti al colpo di coda di un sistema partitico giunto ormai al suo atto conclusivo.

E cos’altro potrebbe mai pensare un cittadino di fronte a una classe politica che non riesce a individuare al proprio interno, né a destra, né al centro, né a sinistra, una figura abbastanza autorevole da meritare il soggiorno al Quirinale? Una politica incapace di assegnare credibilità alla seconda carica dello stato (Casellati), a ministri e commissari europei in carica (l’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia, prima donna presidente emerita della Corte costituzionale e il commissario UE  per gli affari economici e monetari Gentiloni), a politici di lungo corso (il più volte ministro ed ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, l’ex ministro degli Esteri Frattini e Giuliano Amato, eletto poche ore dopo alla presidenza della Corte costituzionale) e altre personalità come Letizia Moratti e Sabino Cassese. Una politica appesa ai capricci e agli sbalzi d’umore di chi sembra interpretare il ruolo di leader come un qualsiasi Marchese del Grillo, a dispetto dei cittadini e in spregio alla più elementare capacità negoziale, tra un bailamme di proclami alla Nazione e giravolte fulminee consumate nel giro di una manciata di minuti, tra veti incrociati, minacce di Aventino e candidati vari mandati allo sbaraglio contro un muro di gomma per l’insipienza di due leaders molto presunti come Matteo Salvini e Giuseppe Conte.

In realtà, di giganti della politica in questi giorni non se ne sono proprio visti. Non è sembrato troppo ispirato Silvio Berlusconi, ansioso all’apparenza più di barattare al meglio il proprio tornaconto per la sua uscita di scena piuttosto che davvero in grado di concorrere per la più alta carica dello Stato. A dispetto del solito fiume di parole non è sembrato in grado di condurre il grande walzer dell’elezione presidenziale nemmeno Matteo Renzi, ridotto a un ruolo residuale dal suo essere a capo di una pattuglia di parlamentari microscopica e assai sensibile ai cambi di vento. Passava di certo per caso a Montecitorio Enrico Letta, esile e inconsistente come sempre. Irrilevante Giorgia Meloni, che a dispetto di un consenso ormai esorbitante non è riuscita nemmeno stavolta a prendere le redini del centrodestra e a uscire dal proprio recinto.

E gli italiani? Sconfitti anche stavolta. Sconfitti da una politica che non può, o non vuole, mostrarsi credibile agli occhi di un popolo che paga il prezzo delle sue scelte infauste.

“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta”.


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