Mare & lavoro/ Il rilancio del Mezzogiorno parte dal mare. I numeri e le prospettive

Nicola Silenti

Una nazione e un castello di potenzialità smisurate scolpito nell’acqua. A conforto di decenni di studi e analisi più o meno memorabili, il recentissimo rapporto “Italian maritime economy 2021” a cura del centro studi di Banca Intesa definisce con impressionante precisione e una sfilza di numeri inoppugnabili quanto lo sviluppo economico e infrastrutturale dell’Italia sia legato a stretto filo con le sorti dell’economia del mare. Mare e porti, un binomio su cui passa il futuro di lavoro e di sviluppo delle prossime generazioni di italiani. Una verità che dovrebbe palesarsi in tutta evidenza davanti alla conformazione di un paese attorniato a est, a sud e a ovest dal mare lungo rotte commerciali su cui è stata scritta una parte rilevante della storia dell’umanità.

In un pianeta in cui il 90 per cento delle merci viene trasportato via mare tuttavia, in Italia le logiche dell’asfalto e del trasporto su gomma, antico retaggio di un paese legato come nessun altro alle sorti dell’industria dell’auto, continuano a rappresentare lo scenario principale dello sviluppo del commercio interno e dell’export industriale, protagonista assoluto anche rispetto al più “verde” trasporto su rotaia. Una pesante eredità che rischia di rivelarsi un ulteriore freno alle velleità manifatturiere italiane, soprattutto alla luce di una pandemia, quella del Covid 19, che ha spinto sull’acceleratore la domanda di beni via e-commerce e il via vai di merci trasportate su e giù per il globo per la gran parte, neanche a dirlo, proprio attraverso il mare.

Nel solo 2020 in Italia il valore degli scambi commerciali via mare è stato pari a oltre 206 miliardi di euro, con una flessione di ben il 17 per cento rispetto all’anno precedente, mentre nel primo trimestre del 2021 l’import export delle merci via mare ha fatto registrare un lievissimo incremento del 3 per cento. Con 207 milioni di tonnellate di merci lavorate i porti del Meridione d’Italia hanno inciso nel 2020 per il 47 per cento del totale del traffico italiano: una prova di come il Sud abbia saputo mostrare una maggiore capacità di reazione alla pandemia. Un dato confermato dal traffico portuale, in calo negli approdi del sud del 3,4 per cento contro il meno 10 per cento circa della media nazionale.

Non deve ritenersi casuale pertanto il fatto che le imprese del Mezzogiorno utilizzino, nei loro rapporti import – export, la via marittima in modo decisamente più rimarchevole del resto del Paese. Infatti il 57 per cento degli scambi commerciali del Sud (per un valore di 42 miliardi di euro) avviene via mare contro appena il 33 per cento del dato complessivo nazionale. Da qui l’importanza strategica degli investimenti per le infrastrutture portuali del Sud, già programmati per quasi 4 miliardi di euro: un impegno degno di nota, da trasformare in realtà nel rispetto di uno sviluppo che negli anni a venire dovrà essere davvero sostenibile, nel segno dell’idrogeno e del GNL (acronimo di gas naturale liquefatto, una miscela di idrocarburi costituita tra il 90 e il 99 per cento da metano).

Non solo i porti congestionati per causa dei contagi, l’impennata dei noli e le rotte cancellate quindi. La pandemia Covid ha prodotto una quarta, ulteriore conseguenza: finalmente in Italia si torna a parlare di mare.

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