Nicola Silenti
Schegge di memoria, tessere di ricordi e di emozioni di una vita trascorsa sul mare e per il mare. Lasciti di una passione senza fine che si snoda lungo un arco spazio temporale della memoria che diventa eternità. Chiunque abbia trascorso una piccola o grande parte della propria vita sul mare sa bene come ogni profumo, sapore, persone del passato e talvolta persino il più insignificante dei rumori più indistinti, possano suggerire alla memoria i luoghi della vita di bordo o gli anfratti più bui e segreti di una vita peregrina trascorsa sulle tratte che conducono ai quattro angoli del globo. Tratte millenarie che sono esse stesse la storia dell’umanità, una storia in gran parte solcata dalle scie di navi ardimentose e capitani coraggiosi impegnati nell’interminabile via vai di uomini e merci dall’Europa verso Oriente e poi Occidente: una storia segnata da luoghi simbolo come le Colonne d’Ercole e da bastioni del progresso e simboli dell’ingegno umano come il Canale di Suez.
Un luogo, il canale di Suez, che tanto peso e tanta importanza ha nella memoria di chi, per caso o per passione, ha intrapreso la carriera di marittimo. Nato dall’ingegno dell’uomo per consentire la navigazione diretta dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, il canale di Suez consente da oltre un secolo e mezzo a generazioni di marinai di scampare al periglioso e interminabile periplo dell’Africa lungo la rotta del capo di Buona Speranza. Inaugurato nel novembre 1869, a dispetto dell’innegabile ruolo da protagonista giocato nella pianificazione dell’impresa dalla Francia, il progetto del Canale si deve proprio a un italiano, Luigi Negrelli, a suggello di un’italianità non troppo recondita dell’alveo e della storia del luogo, come narrato mirabilmente dall’amico Marco Valle nel suo impareggiabile “Suez. Il canale, l’Egitto e l’Italia. Da Venezia a Cavour, da Mussolini a Mattei” (Historica Edizioni. Pagine 334. Euro 22,00).
Un luogo della memoria che non più tardi di due anni fa ha festeggiato i suoi primi 150 anni di studi, progetti, lavoro e traffici ma anche di intrighi, complotti, guerre e rivoluzioni. Una grande opera che ha sancito il ruolo strategico del potere anglo-francese sul Levante del mondo e sul Mediterraneo, e che ha significato per l’Italia, “minore tra le potenze maggiori”, la cartina di tornasole per giocare il suo ruolo nel “great game” mediterraneo e per comprendere appieno le chances e le potenzialità ai tempi del mondo globalizzato del “sistema Italia”.
Un luogo tutt’altro che secondario, il canale, anche per chi scrive, transitato in più occasioni da Suez tra il 21 luglio 1958 e il 12 aprile 1962. Una vera e propria prassi irrinunciabile per chi aveva trovato imbarco sulle petroliere della Getty Oil Company per la navigazione tra Golfo Persico, Giappone, San Francisco e Nord America sulla rotta del Capo di Buona Speranza. Una presenza costante per quegli animi irrequieti e ardimentosi, impegnati a riportare sui giornali di bordo i passaggi da Port Tewfik (Suez) e Punta Europa (Gibilterra) per dare atto di quella navigazione “fuori dagli stretti” che si rendeva necessaria a chiunque ambisse alla registrazione del titolo professionale marittimo. Estratti giornale che i protagonisti di quel tempo conservano ancora, a testimonianza di un’Italia del mare che sopravvive a tutt’oggi nei ricordi degli uomini di mare di ieri e si perpetua nelle ambizioni dei marittimi di oggi e di domani.
Un’impresa anche italiana, quella vissuta in questo secolo e mezzo di Suez, con un ruolo cruciale svolto dalle singole realtà di una nazione legata a doppio filo alla sua anima marinara. Un apporto indiscutibile garantito senza dubbi da realtà storiche come Venezia, ma senza tacere il ruolo strategico giocato dagli esempi più virtuosi del talento italico come la marineria procidana, attori di un prestigio e di una vitalità innegabile testimoniata e sostenuta con forza da autorità della materia come Raffaella Salvemini, esperta in scienze economico-marittime e primo ricercatore dell’Istituto di studi sul Mediterraneo (Ismed). ”Suez unì l’Occidente all’Oriente e giocò un ruolo importante nella creazione di un grande mercato internazionale all’interno del quale la flotta italiana giocò un ruolo marginale” sottolinea la Salvemini “e la nostra marina mercantile perse quei mercati che, ancora a metà dell’Ottocento, l’avevano vista, se non protagonista, certo in un’ottima posizione. All’apertura di Suez seguì un rapido aumento di navi a vapore, con la progressiva estinzione delle navi a vela” prosegue l’esperta “ed è innegabile che in questa storia s’inserisca il successo di quella gente di mare procidana che pure aveva maturato larga esperienza sulle navi a vela: insieme ai calafati, infatti, dalla scuola nautica di Procida arrivarono i primi piloti del Canale di Suez e tra questi si distinse su tutti Domenico Scotto di Perta”.
Salvemini aggiunge “al contributo dei procidani all’apertura del canale di Suez del 17 novembre 1869 sono stati dedicati negli anni incontri, convegni e giornate di studio che hanno visto la partecipazione delle più importanti personalità dell’universo marittimo nazionale, ma non solo. Una prova inconfutabile della grandezza senza tempo di una pagina fondamentale della storia, non solo dell’isola, ma anche della marineria italiana. “Nella storia del canale di Suez, si registrano due blocchi; il primo che durò otto anni, dal 1967 al 1975, e il secondo relativo all’episodio della nave container “Ever Given” del 23 marzo 2021. E sempre in tema di “ricordi” mi piace segnalare che al comando di una delle ultime navi che attraversarono il canale prima del blocco del 1967 c’era il Capitano Superiore di Lungo Corso Vincenzo Valle, padre del nostro Direttore.